sabato 18 gennaio 2020

Ecologia e popolazione, oltre la propaganda

Sentiamo da anni lamentele ed allarmismi sulla sovrappopolazione, "siamo troppi e cresciamo troppo" sembra il mantra ufficiale.
Chi lo ripete lo fà convinto, purtroppo per lui Malthus e l'idea di crescita esponenziale dalla popolazione sono idee del passato, previsioni accettabili alla sua morte nel 1834, ma meno nel nostrotempo, la diminuzione delle nascite è una realtà mondiale da molti anni che stà lentamente ma inesorabilmente riequilibrando il pianeta. Con l'industrializzazione e la diffusione di un benessere di base le nazioni iniziano rapidamente una diminuzione del tasso di fertilità, l'urbanizzazione concomitante attiva inoltre meccanismi di disincentivo alla procreazione nonostante l'ampia disponibilità di risorse.
In un recente articolo C. Hamilton lega questi fatti al rallentamento economico, pur non concordando con la sua tesi ne utilizzerò i dati, l'autore usa un parametro caratteristico però, calcola la quantità di donne fertili presenti sul pianeta ed il tasso di fertilità. La definizione che ne dà è stringente, una donna fertile è tra i 20 ed i 40 anni,  ma rappresenta bene la definizione biologica dell'"età ideale" nella quale gravidanza, parto e allevamento della prole hanno la massima efficacia.

Il mondo (africa esclusa): nascite annuali in nero, donne 20-40 in rosso, donne 40+ in giallo. La scala è in miliardi.

Osservando questo grafico notiamo una stabilizzazione della popolazione femminile fertile ed un dolce diminuire delle nascite previste, potremmo quindi confermare l'idea di una stabilizzazione della popolazione mondiale in atto. Più interessnte è il secondo grafico proposto però.

Il mondo (Africa esclusa): nascite annuali in miliardi in nero. In rosso la variazione di donne 20-40 ed in blu quella delle donne 40+ espresse in milioni. In giallo la variazione del tasso di fertilità in percentuale.

Sovrapponendo il tasso di fertilità si nota immediatamente il diminuire tendenziale di tutti i fattori di fertilità! Il mondo del 2000 è decisamente cambiato, almeno guardando 4 continenti.

Ma l'Africa come và? Il continente nero è l'incubo delle analisi demografiche, il continente è piagato da guerre, malattie, ampie migrazioni intracontinente ed extracontinente. Senza una base dati solida il dato miglore è la variazione del numero di nascite annuale.

Variazione anno su anno delle nascite, in blu l'Africa ed in nero il resto del mondo.

Come vediamo la linea è piatta a compensare, per ora, la diminuzione mondiale, in realtà bisogna però aspettare di vedere se le previsioni si possano mantenere così rosee, l'incognita maggiore infatti sono le epidemie che colpiscono il continente. I dati sull'AIDS sono infatti allarmanti, soprattutto la peculiare preferenza del virus HIV per le giovani donne, ovviamente mai dimenticare che le zone meno colpite da questa infezione potrebbero però aver a che fare con problemi maggiori..... l'Ebola è africano ed ovviamente ogni tanto fà capolino. Il saldo tra nascite e popolazione risulta perciò incerto mentre inizia anche in Africa a prendere piede il calo della fertilità.

Passando da questi dati all'ecologia il nostro caleidoscopio di fiducia ci trasporta in un mondo leggermente più roseo.

La diminuzione naturale di popolazione nel mondo si confà all'idea di una crescita "logistica" della popolazione e non "esponenziale", stiamo avviandoci al punto di stabilità, nel contempo la necessità di lavoro per mantenere la popolazione è in costante diminuzione: automazione, digitalizzazione, AI e riciclaggio abbattono il numero di lavoratori necessari a mantenere gli individui presenti. Gli allarmismi sono quindi quantomeno prematuri, il pianeta sarà grande abbastanza per tutti senza problemi. La chiave di questi cambiamenti non è nota ma potrebbe essere legata alla disponibilità di una adeguata prospettiva di vita.

La domanda ecologica fondamentale è "possiamo permettercerlo"?

La risposta è sì, ma è molto condizionata dalla nostra capacità di gestire ciò che abbiamo. Attualmente i vincoli dello sviluppo delle società avanzate non sono più posti dalla capacità di produrre beni e servizi, i processi industriali possono arrivare ad avere fabbriche senza operai anche in produzioni complesse e la finestra di opportunità si amplia giornalmente, i limiti sono posti prevalentemente dalla capacità di fornire agli individui un salario ed un occupazione dignitosi. Il superamento del paradigma del consumo e del profitto come motore dell'agire consentirebbe di approfittare delle attuali forze per sviluppare un ciclo virtuoso finalizzato a ottimizzare il consumo di risorse fino ad ottenere un "ciclo ecologico" industriale. La Cina, per motivi strategici, sta seguendo una strada che dovrebbe portarla ad un indipendenza energetica concentrata su rinnovabili e nucleare diventando il banco di prova di una transizione "quasi green" non motivata da ideologia ma da pragmatismo.
Al nucleare esistono ovviamente alternative e vi è ampio spazio per la riduzione dei consumi ed un miglioramento dell'efficienza energetica sia nell'utilizzo finale che in molti processi intermedi, anche la sola localizzazione (in opposizione alla globalizzazione) di tutti i prodotti ed i processi avrebbe un impatto pesante sui consumi energetici. La strada dell'economia di prossimità lascerebbe comunque spazio a interscambi internazionali, anche la moltiplicazione inutile di impianti e processi è uno spreco, la tendenza alla localizzazione però favorirebbe anche una forma di biodiversità industriale : prodotti analoghi ma prodotti con metodi e tecniche atte ad utilizzare le risorse più disponibili. Attualmente l'agroalimentare ha interessanti trasformazioni in questo senso, probabilmente in futuro la tendenza potrà espandersi anche ad altri settori, la globalizzazione sta infatti recedendo lentamente a quanto pare.

Prosegue........

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